Sarà difficile  accettare la sconfitta e abbandonare – dopo sette mesi – Ramadi, capoluogo strategico di al-Anbar (la maggiore provincia dell’Iraq  a 100 km dalla capitale), ma lo sviluppo dell’offensiva in atto lascia intuire che presto  i miliziani del Daesh potrebbero essere costretti alla resa. Ormai, infatti, i soldati di Baghdad hanno recuperato l’egemonia di diversi quartieri e sulla sommità del complesso governativo centrale lo stendardo nero di famigerata memoria è già stato sostituito con la bandiera nazionale. “Il fatto che ora controlliamo questa struttura implica che abbiamo vinto“, ha precisato il portavoce militare Sabah al-Numani. “La prossima mossa riguarderà la bonifica di tutte le sacche di resistenza  che ancora sussistono, qui e altrove“.

La riconquista della città (“un nuovo capitolo della storia nazionale” , come ha sottolineato il generale di Brigata Yahya Rasool) ha tra l’altro una valenza inedita per l’esercito iracheno, non più relegato al ruolo di supporter delle truppe sciite bensì assurto per la prima volta a protagonista assoluto dell’umiliazione islamista.

Iraqi Security forces with national flag enter downtown Ramadi, 70 miles (115 kilometers) west of Baghdad, Iraq, Sunday, Dec. 27, 2015. Islamic State fighters are putting up a tough fight in the militant-held city of Ramadi, slowing down the advance of Iraqi forces, Gen. Ismail al-Mahlawi, head of the Anbar military operations, said Sunday. (ANSA/AP Photo)

Ci congratuliamo  per i continui successi conseguiti ai danni dell’Is“, ha commentato il Colonnello statunitense Steven Warren,  L’autorizzazione delle istituzioni è arrivata e questo è il risultato dei molti mesi di duro lavoro che abbiamo compiuto nel paese”.

Un incontenibile ottimismo traspare anche dalle convinzioni del premier Haider al-Abadi, che pare confidare su prospettive alquanto ambiziose per il futuro immediato della nazione: “Se il 2015 è stato un anno di liberazione, il 2016 sarà certamente quello delle grandi vittorie e culminerà con l’annientamento  dello Stato Islamico in Iraq e in tutta la Mesopotamia“, ha annunciato ai microfoni di un’emittente locale, “La cacciata da Mosul, poi, sarà fatale al Daesh“.

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Ma dal Dipartimento statunitense per gli affari politici e militari è giunto un invito alla cautela e alla razionalità: “Ramadi rappresenta solo una piccola tappa della lotta all’integralismo“, ha osservato  l’ex segretario Mark Kimmitt. “I militari iracheni sono indubbiamente migliorati, ma per catturare la più importante località sunnita (assoggettata al Daesh dallo scorso giugno, n.d.r.) servono parecchie centinaia di uomini la cui preparazione militare non è affatto scontata. Magari l’anno prossimo assisteremo davvero alla cacciata dei jihadisti dall’Iraq e al ripristino degli originari confini nazionali, però  questo non coinciderà affatto con la scomparsa della minaccia fondamentalista” è la sua conclusione.  “Chiunque avvalori tale ipotesi evidentemente ignora che lo Stato Islamico si è metastatizzato nell’intera regione. Questa è una guerra destinata purtroppo a protrarsi per intere generazioni“.

Di tutt’altro avviso il titolare iracheno delle Finanze Hoshiyar Zebari, secondo il quale Mosul (che vantava due milioni di abitanti prima dell’occupazione islamista) “è il contesto naturale in cui Abu Bakr al-Baghdadi ha proclamato la nascita del Califfato e perciò la sua perdita decreterebbe davvero il tramonto dell’Is“.

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Circostanza controversa che parrebbe però esulare dall’abilità delle sole forze governative. “Il recupero della città (situata nel nord dell’Iraq a 450 chilometri da Baghdad, n.d.r.) richiede una pianificazione e un addestramento adeguati nonchè un impegno costante. E quindi senza l’appoggio dei peshmerga tutto sarà inutile. I combattenti curdi sono inftti i più qualificati per affrontare una battaglia  ardua e complicata“, ha puntualizzato il ministro, appartenente all’etnia curda. “Inoltre, considerata l’estensione dell’area in questione, le unità dell’esercito devono necessariamente essere supportate dai nuclei sunniti e possibilmente anche dai membri di Hashid Shaabi”.

Un riferimento chiaramente riconducibile alla cosiddetta Mobilitazione popolare sciita, formazione preposta al  contenimento dell’avanzata califfale ma finora esentata dagli scontri di Ramadi proprio su iniziativa del governo,  intenzionato a scongiurare in tal modo inopportune tensioni settarie tra gruppi rivali.

Iraq's Foreign Minister Hoshiyar Zebari speaks to Reuters during an interview in Baghdad December 21, 2011. REUTERS/Mohammed Ameen